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Centro Banchi, nel Centro Storico di Genova
Una porta aperta per il dialogo e la ricerca

Cammino di ricerca:
Dieci incontri
per conoscere te stesso
e conoscere gli altri

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Sesto Incontro

PREGIUDIZI E MASCHERE
L'AUTENTICITÀ
(per amare gli altri)

"Vincitore è sempre colui
che può amare, soffrire e perdonare,
non colui che sa o giudica meglio"
(Herman Hesse)

"Come l'amore vi incorona, così vi crocifigge;
e come vi matura, così vi poterà.

Come esso sale sulla vostra cima
e accarezza i rami che fremono più teneri al sole,
cosi discenderà alle vostre radici,
e laggiù lo scuoterà
dove più forte aderiscono alla terra.

Vi accoglie in sé, covoni di grano.
Vi batte finché non sarete spogli.
Vi setaccia per liberarvi dalle reste.
Vi macina per farvi neve.
Vi plasma finché non siate cedevoli alle mani.

...In voi tutto compie l'amore,
affinché conosciate il segreto del vostro cuore,
e possiate farvi frammenti nel cuore della vita"

(Kahlil Gilbran, da "Il PROFETA", ed. Guanda).

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* Amare: diventare "vulnerabili" e imparare a perdonare

L'amore - abbiamo visto nell'ultimo incontro - non è facilmente definibile, non è riducibile in schemi... è una realtà che non bisogna mai fermarsi di cercare...

È dentro di me.
È negli altri.
È nel tutto.

L'amore vero mi fa crescere davvero, mi fa essere. Quando uno accetta di mettersi in cammino lungo la strada dell'amore, realizza la vocazione fondamentale a cui è chiamato: vivere è amare.

Amare è accettare anche quel se stesso/a che non piace agli altri
è accettare negli altri quello che non piace a me.

Il nostro amore, a volte, può trasformarsi in un sogno che rincorriamo fuggendo così la vita quotidiana.

Nell'incontro precedente, continuando ad approfondire insieme questo argomento, abbiamo riflettuto sulla struttura fondamentale dell'uomo, che è essere - comprendere - operare.

Essere:

io sono, ma il mio essere è labile, è nella provvisorietà. Spesso per supplire alla mia labilità io accumulo, perché penso che avere mi faccia essere. Mi illudo che io sono se io ho e cado nell'avarizia.

Invece io ho se io sono e io sono se io dò.

"Se dovessi scegliere un'immagine plastica dell'altruismo, sceglierei una sorgente. Se ne dovessi scegliere una per l'egoismo sceglierei una voragine. La voragine fa esattamente il contrario della sorgente: inghiotte acqua anziché donarla. È avida, ingorda, mai soddisfatta: la sua brama di "prendere" non ha confini. Ma se alla povertà mancano molte cose, all'avarizia mancano tutte.

Niente, invece, è più prodigo e più ricco di una sorgente. La sua generosità la rende continuamente operosa, ilare, gioconda. Cosi è dell'altruista. Più dona e più riceve, in uno scambio fecondo e ricco, che non ha né soste né confini"

(G. Pastorino, dalla rivista "IL SEME")

Comprendere:

nel mondo di oggi si esprime più sotto l'aspetto del "sapere". Se però il sapere è fine a se stesso, e "sapere per me", cado nell'orgoglio e nella superbia.

La solitudine è la conseguenza prima dell'orgoglio.

Se "conosco" per poter "essere di più, per poter dare di più agli altri, mi metto in COMUNIONE con gli altri (se non ho e se non sono, non posso dare).

Operare:

se è fine a se stesso diventa potere, oppressione sugli altri. Se invece il mio agire è l'amore espresso, manifestato, è servizio (e non adoperare per sé).

 

É necessario trovare sempre un equilibrio tra essere, conoscere, operare. Troppo spesso, invece, viviamo "divisi", col cuore contratto, bloccato da paure, aggressività, chiusure, "difese"...

"Sono convinto che il bambino possa insegnarci qualcosa nella nostra ricerca dell'unità. Il bambino è sempre una sorgente di unità: è senza difese, non ha paura... Nel bambino ci sono poteri straordinari, come se fosse capace di mettere la sua manina attraverso le griglie della finestra della prigione".

(J.Vanier, da "LA FERITA NEL CUORE DELL'UOMO", ed. EMP)

E invece noi ci difendiamo sempre. Siamo irti di aculei.

"Alcune forme di malattia, come la psicosi, sono delle difese. Anche l'aggressività è una difesa; quando si diventa duri, violenti, quando si vorrebbe rompere tutto: sono scappatoie dell'angoscia".

(J. Vanier, da "LA PAURA DI AMARE", ed. EMP)

Gli "aculei" sono anche quei concetti (che a volte diventano pre-concetti) che col tempo ci siamo venuti formando, a cui continuamente ci "aggrappiamo" e sui quali basiamo la nostra esistenza.

Spesso ci disturba profondamente chi non condivide queste nostre idee e chiamiamo amici e simpatici chi le condivide. Chi ha idee diverse dalle nostre spesso ci "scade" e viene "tagliato fuori" dalla nostra vita.

L'immagine che ciascuno di noi ha di sé stesso (negativa o positiva) è come un'ombra, ci accompagna tutta la vita e condiziona il nostro modo di metterci in relazione con gli altri. Il concetto di noi lo apprendiamo soprattutto dalla nostra famiglia e dagli altri. Gli altri sono importanti per noi per sapere "chi" siamo: sono i nostri specchi.

La maniera con la quale veniamo trattati dagli altri, modifica la stima che abbiamo di noi e, conseguentemente, i nostri comportamenti e le nostre risposte.

I bambini capiscono se si vuol loro bene solo se l'adulto si fa loro vicino nella vita di tutti i giorni, se dedica del tempo, se apprezza i suoi interessi, se è attento al loro positivo e lo sottolinea, anche se è necessario correggere i comportamenti difettosi.

Anche i giovani, gli adulti, gli anziani, sono molto sensibili all'amore di meraviglia che viene loro donato, perché trasmette l'accettazione incondizionata della loro personalità, con i suoi contorni e le sue ricchezze. La persona che si sente amata tutta intera, per quello che è, risveglia in se stessa la possibilità di fare altrettanto per gli altri... Un modo concreto per far nascere una persona a se stessa è aiutarla a prendere coscienza delle sue risorse interiori, rivelargliele, ripetergliele...

Il confronto con gli altri, il lasciarci mettere in discussione, il lasciarci amare e cambiare dagli altri è molto importante per conoscere se stessi, per essere più pienamente se stessi in modo autentico.

Le persone autentiche realizzano la propria irripetibile individualità personale e apprezzano quella degli altri... non dedicano la loro vita a fabbricarsi una propria immagine ideale di se stessi. Semplicemente sono se stessi; e appunto per questo non sprecano energia né a recitare una parte, né a simulare, né a manipolare gli altri... Non sentono il bisogno di nascondersi dietro una maschera e si liberano da ogni immagine non realistica di sé, così di inferiorità come di superiorità.

(M. James- D.Jongeward, da "NATI PER VINCERE")

Se non potete essere un pino sulla vetta di un monte, siate una piccola scopa nella valle, ma siate la migliore piccola scopa sulla sponda del ruscello. Siate un cespuglio, se non potete essere un albero. Se non potete essere una via maestra, siate un sentiero. Se non potete essere il sole, siate una stella; non con la mole vincete o fallite. Siate il meglio di qualunque cosa siate.

(Douglas Mallock)

 

"L'amore e la vita in tutti i suoi aspetti.
Se vi lasciate sfuggire l'amore, vi lasciate sfuggire la vita.
E non c'è vita, non c'è amore senza rischio.
Il rischio comporta anche sofferenza, ma l'alternativa è la non-vita".
(Luciano Cian, da "AMARE É UN CAMMINO", ed LDC

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Settimo Incontro

IL PERDONO

 

"Chi non riesce a perdonare agli altri
distrugge il ponte sul quale dovrà passare".
(G.M.)

«Amare è servire. Quando mi pongo di fronte ad una persona, posso considerarla da due punti di vista. Posso tener conta della sua realtà, di ciò che è. Ma posso anche fare attenzione prevalentemente a ciò che può diventare. In ogni persona, per quanto mediocre possa essere, esiste un "io" profondo che chiede urgentemente di essere realizzato. Amare una persona significa mettersi a servizio di questo "io" per aiutarlo a realizzarsi. Amare vuol dire chiamare l'altro all'esistenza, farlo essere di più. Ma chi sa quali sono i limiti dell'altro?

Per amare bisogna allora dare credito all'altro. Guardarlo con speranza.
Il linguaggio dell'amore non è la dimostrazione, ma la fede.
Chi non ha il senso del mistero, dell'avventura, del rischio, non può amare».

(E. Fromm)

Amare = perdonare e perdonarsi

Nei due incontri precedenti abbiamo riflettuto in modo particolare sul tema del perdono.

La logica occhio per occhio - dente per dente sarebbe di per sé giustissima... Ma se io pariglio l'offesa, il danno ricevuto, per una presunta giustizia, provoco un danno grave all'altro e a me stesso/a e diminuisco, porta a un livello più basso, tutta l'umanità (siamo tutti interdipendenti!).

La logica della giustizia distributiva è di gran lunga superata dal perdono.

Il "per-dono" (=un dono di gran lunga superiore) non è solo lasciar perdere la vendetta (o la giustizia), ma è un ridare all'altro, che ha recato l 'offesa, nuovamente la propria amicizia, considerandolo come prima.

Chi è perdonato ha così di nuovo la fiducia e la possibilità di ritornare ad essere "uomo", di reintegrarsi, di partire di nuovo.

Spesso, quando non so perdonare (perdonare non vuol dire dimenticare, non fare memoria!), rischio di portarmi dietro il peso di uno/a che non riesce a gioire per colpa mia e il peso del mio tormento (che mi rende la vita difficile).

il frutto nel perdono è la gioia, sia per chi perdona (che prova la gioia di aprire le braccia all'altro), che per chi è perdonato (che si sente amato, con la possibilità di riscattare e di riprendere i suoi errori rifondendoli nel "crogiolo" dell'amore).

Il perdono non è - come alcuni possono ritenere - indice di debolezza (come non lo è la non-violenza). Per riuscire a perdonare ci vuole una grande forza.

Riesco a perdonare se mi sento anch'io bisognoso/a di essere perdonato/a dagli altri; se mi sento anch'io debitore/debitrice.

Mi sono mai chiesto: "Se la giustizia fosse rigida, inflessibile, quanto anch'io dovrei pagare?".

Rendersi conto di essere tutti e ciascuno bisognosi di perdono è un passo molto importante per conoscere meglio se stessi e gli altri.

Forse per riuscire a perdonare davvero occorre prendere coscienza di quanto noi già siamo stati perdonati, avendo trovato chi non ci ha fatto pesare le nostre colpe.

Per chi si sente poco amato e poco perdonato è più difficile il perdono verso di sé e, quindi, verso gli altri (a volte si rischia di essere inflessibili con se stessi e con gli altri).

I veri amici sono quelli che ti considerano sempre amico, anche quando fai un errore .

Sapersi perdonare e saper perdonare è un "nuovo" modo di vivere (un modo anche per non diventare nevrotici!) che presuppone la conversione del cuore, il diventare vulnerabili, coscientemente, volutamente, "bambini" nel cuore (non "bambinoni!).

Tutto ciò non avviene spontaneamente, richiede uno sforzo, implica una scelta.

É un "rompere il guscio", che ci impedisce di vivere (che a volte è una spessa corazza), è un buttar giù le nostre difese.

L'amore è un atto di grande coraggio, è sempre un rischio.

Sia chi riceve il perdono che chi perdona, ha la possibilità, nel momento stesso del perdono, di essere nuovo. Il perdono presuppone una cambiamento nel proprio "essere", una dinamica continua.

Chi giudica, invece, ferma l'altro nel suo dolore, senza dare nessuna possibilità di riscatto. Anche l'altro si sente fermato da un giudizio, dal non-amore.

Il legalismo è un sentirsi ufficialmente a posto, avendo rispettato formalmente la legge. Per aver fatto il proprio dovere ci si sente nel diritto di giudicare (è un grosso errore, anche se è una tentazione quotidiana...). Si rischia di essere ipocriti, formalisti, esecutori materiali della legge e non crescere nell'amore, nella giustizia, nella verità.

La legge è un mezzo non un assoluto;
chi conta e chi ha la priorità è l'uomo.
La Legge è fatta per l'uomo, non l'uomo per la legge.
Il fine è l'amore.

"È con l'amore che l'uomo può partecipare alla trasformazione del mondo, perché contribuisce a diminuire i rapporti di forza a vantaggio della comunione che cerca, anche in chi opprime, nel "nemico", gli aspetti positivi suscettibili di sviluppo per sottolinearli, farvi appello e così risvegliare il meglio dell'altro.

L'amore diventa educativo e promozionale di tutto ciò che può contribuire a far vivere negli altri la vita piena. L'amore sceglie di suscitare la vita piuttosto che mortificarla con la forza e la volontà di potenza. Le persone, infatti, maturano perché vanno spontaneamente verso tutto ciò che le apre alla vita.

Ed è l'amore che offre questo stimolo vitalizzante".

(Luciano Cian, da "AMARE È UN CAMMINO", ed. LDC)

"Se negate anche a un sol uomo il diritto di entrare nella vostra vita, non otterrete il dono dell'unicità degli altri"

(Leo Buscaglia)

Ci rendiamo conto che quando "tagliamo fuori" qualcuno dalla nostra vita, diminuiamo anche noi? Eppure noi ci "difendiamo" sempre. Queste barriere difensive non ci permettono di instaurare un rapporto profondamente umano.

Se ci disarmiamo diventiamo autentici, ci fidiamo dell'altro fino a porgerci trasparenti, senza paura, diventiamo un po’ come "bambini". Certamente siamo anche più vulnerabili, ma vivi e veri.

Allora ci apriamo alla novità della nostra vita, vediamo la "novità" che è negli altri, sradichiamo in noi i pre-concetti, i pre-giudizi, per ritrovare in noi l'unità, l'armonia primaria.

Questo "abbandonarsi con fiducia", questo "svuotarci", è anche umiltà e fiducia negli altri fino in fondo, comunione con le persone e con il tutto.

"In India, quando si incontra qualcuno e ci si accomiata da lui e si dice "NANASTE", significa: Io onoro in te il luogo dove risiede l'intero universo; se tu sei, in quel luogo in te e io sono in quel luogo in me, siamo una cosa sola".

(L.Buscaglia, da "VIVERE, AMARE, CAPIRSI", ed. Mondadori)

Se vogliamo tentare di amare veramente, oltre che essere sempre più "trasparenti", "senza maschere", occorre:

Voler bene, cioè, nonostante l'offesa, voler bene a chi ci offende, a chi ci fa del male, perché sappiamo che anche noi abbiamo bisogno a nostra volta del perdono degli altri.

«Per poter accettare il comportamento degli altri, bisogna quindi guardare ben da vicino il proprio. Se non si riesce a perdonare a se stessi, non si può perdonare agli altri. Se non si riesce a perdonare agli altri, di solito, è perché non si è esteso il perdono a se stessi.

Liberarsi dal risentimento libera il corpo dalla tensione, dà la sensazione concreta di aver fatto una conquista...

L'energia del cuore, bloccata prima dal mantenere in vita il risentimento, si libererà e prenderà strade costruttive. Non saremo più uomini "contro" ma uomini "per"».

(da "Guida al training motivazionale")

"La maturità a livello del cuore c'è quando si è capaci di amare il proprio nemico ed essere un uomo e una donna di pace, diventare cioè un essere che perdona e perciò che toglie la colpevolezza dalle spalle delle persone. La colpevolezza è ciò che pesa sulla mia umanità e impedisce la creatività, la speranza."

(J.Vanier, da "LA FERITA NEL CUORE DELL'UOMO", ed. EMP)

Proposte per la riflessione:

1. Provo ad elencare le persone verso cui provo del risentimento...
2. Provo ad elencare i miei "aculei" (=le mie difese)
3. Il 2° punto, secondo me, è collegato col 1°? In che modo?

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Ottavo Incontro

ANCORA SULL'AMORE

 

"Amare qualcuno
è vedere una meraviglia invisibile agli occhi"
(F.Mauriac)

"Quando non bruceremo più d'amore per gli altri,
molti moriranno di freddo"
(F. Mauriac)

"L'amore vero inizia
là dove non attendi niente in cambio"
(Saint-Exupery)

"Dormivo, e sognavo che la vita era gioia.
Mi svegliai, e vidi che la vita era servizio.
Servii, e compresi che il servizio era gioia.
Possa io fare della vita qualcosa di semplice e dritto,
simile a un flauto di bambù,
che Tu abbia a riempire di musica"
(Rabindranath Tagore)

 

* Amare è un cammino: amare gli altri come se stessi

Nei precedenti incontri via via abbiamo scoperto che:

Ho necessità, dunque, degli altri e, nello stesso tempo, sono per gli altri.

Siamo legati uno all'altro comunque, sia che ne siamo consapevoli o no.

Coinvolti nell'unica avventura della vita

"Qualunque cosa tu abbia ricevuto in quantità maggiore degli altri per quanto riguarda salute, talento, abilità, successo, fanciullezza felice, armoniose condizioni di vita domestica, non lo devi ritenere una cosa dovuta. Devi pagare un prezzo per essa. Devi offrire in cambio una eccezionale dedizione della tua vita a favore della vita altrui".

(Albert Schweitzer)

Tutti gli uomini, che lo vogliano o no, sono interdipendenti e coinvolti in un unico processo.

"Ho fatto un sogno. Un agricoltore mi diceva:- Fatti il pane.
E un piantatore brasiliano: - Provvedi tu al tuo caffè.
E un mungitore: - Arrangiati col tuo latte e il tuo burro.
E poi un altro, per lo zucchero e la marmellata.
E addio mia colazione, se non fosse stato un sogno!
Senza gli altri non sarei nulla, ne corpo ne spirito.
Senza gli altri non avrei lingua, cultura, idee, cuore, famiglia, casa, vestiti.
Ma "io sono" e debbo "essere per gli altri", come gli altri sono per me.
Altrimenti sarei un parassita".

(Th.Rey-Mermet, da "CREDERE", vol. 1*, ed. EDB)

Amare gli altri diventa quindi un problema di responsabilità e di giustizia. l'esistenza per gli altri è dono di sé in quanto abbiamo di meglio e umile accoglienza degli altri.

 

* L'amore è "donarsi" è "accogliere" l'altro come dono

Per imparare ad amare è necessario ogni giorno lottare con i "nemici" dentro di noi:

Se si guarda l'esteriorità, se ci fermiamo all'apparenza, alla superficie... se ci fermiamo al linguaggio delle parole, l'essenziale ci sfugge!

"Ciò che è essenziale è invisibile all'occhio"
(Saint-Exupery, da "IL PICCOLO PRINCIPE, ed. Bompiani)

 

* Per far crescere l'amore nel contesto della nostra vita quotidiana

"Ciò richiede la capacità d'intuire il meglio degli altri, la loro vita, il movimento dell'essere con le sue ricchezze" (L.Cian, da "LIBERI PER IMPEGNARSI").

"La comunicazione profonda va d'accordo con l'ascolto profondo, perché significa entrare nel mondo interiore di un altro, ma con le disposizioni del cuore e dell'accoglienza: il non-giudizio, la pazienza, interesse, la simpatia per l'uomo e la sua interiorità, una certa serenità. La comunicazione fa uso dell'amore incondizionato che vuole l'altro viva e sia felice, perché in lui esistono già le potenzialità perché possa diventarlo, a modo suo".

(L. Cian, da "LIBERI PER IMPEGNARSI")

l'amore vero non manipola, non strumentalizza mai le persone, perché non sono cose.. è rispettoso, non aspetta niente in cambio, ha fiducia dell'altro, l'amore vero ignora il calcolo

cominciando dalle "piccole cose", dai gesti quotidiani.... far accorgere all'altro di essere amato...

 

* Chi amare?

Tutti, senza esclusioni

Cominciando da chi è più vicino: famiglia, marito, moglie, figli, anziani, i vicini di casa, le persone che incontro nell'ambiente di lavoro, la gente del mio quartiere.

A volte è più facile amare chi è lontano (anche perché non dà troppo fastidio).

Spesso pensiamo di essere disponibili a "fare grandi cose" se non fossimo nell'ambiente dove ci troviamo a vivere... siamo disponibili anche ad essere eroi...

La quotidianità è difficile e dura da affrontare, quasi sempre. Eppure è lì che bisogna cominciare per non rischiare un'evasione da noi stessi, una fuga dalla nostra responsabilità quotidiana!

L'amore comporta la fedeltà alle persone, nel posto dove mi trovo, nonostante tutto. Se fuggo e lì che devo ritornare per ricominciare ad amare.

"Quel che conta non è ciò che facciamo,
né quanto facciamo,
ma l'amore che mettiamo nei nostri atti"
(Madre Teresa di Calcutta, da "LA GIOIA DI DARSI AGLI ALTRI", ed. Paoline)

 

* Amare comporta anche il soffrire

"La sofferenza dischiude la comprensione interiore dell'uomo"
(Gandhi)

pensiamo agli, ai "marocchini, ai "barboni", ai "drogati"... a chi non ci è simpatico... a chi escludiamo dalla nostra vita...

Amare, pur tenendo presenti le proprie forze e possibilità.

Qualunque sia la tua condizione di vita non lasciarti imprigionare dall'angusta cerchia della tua piccola famiglia. Una volta per tutte adotta la famiglia umana. Bada a non sentirti estraneo in nessuna parte del mondo. Sii un uomo in mezzo agli altri. Nessun problema, di qualsiasi popolo, ti sia indifferente. Vibra con le gioie e le speranze di ogni gruppo umano.

Fa tue le sofferenze e le speranze di ogni uomo.
Vivi la scala mondiale, o meglio ancora, universale."

(Helder Camara)

È dunque importante riscoprire il "cuore", liberarlo, impiegarlo e spalancarlo sul mondo.

"Voglio porre una cintura attorno alla madre terra, fare un equatore con sandali e passi e piedi d'amici e di fratelli, e lasciare libero passo al mondo intero"

(Gilles Vigneault)

 

Proposte di riflessione

  1. Nella mia famiglia cerco di valorizzare ciò che ci unisce e di superare le incomprensioni, l'indifferenza, l'abitudinarietà, il dare tutto per scontato?
  2. Cerco di informarmi su ciò che accade nel mondo, di documentarmi, tenermi aggiornato/a... riflettere con senso critico?

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Nono Incontro

LA SOFFERENZA

 

* Ha un senso la sofferenza?

«Le calamità possono portare crescita illuminazione - disse il maestro.
E lo spiegò cosi:
Ogni giorno un uccello si riparava sui rami secchi di un albero
che si ergeva in mezzo a una vasta pianura deserta.
Un giorno una tromba d'aria sradicò l'albero
costringendo il povero uccello a volare per cento miglia alla ricerca di un riparo...
finché finalmente arrivò a una foresta di alberi carichi di frutta.
E concludeva:
- Se l'albero secco fosse rimasto,
niente avrebbe indotto l'uccello a rinunciare alla sua sicurezza e a volare».

É certo che l'uomo dl oggi, pur con il raggiungimento di notevoli progressi nei vari campi della scienza e della tecnica, non è riuscito ad eliminare dalla vita la sofferenza e il dolore.

Prima o poi il dolore colpisce tutti.

Gioia e dolore fanno parte della vita, già da quando si è piccoli. Nell'uomo ogni sofferenza è umana e coinvolge tutta la persona. Non c'è sofferenza che sia solo fisica o solo psichica...

Ogni uomo, ogni donna è un'unità bio-psichica: un dolore fisico influisce sulla nostra psiche e una sofferenza psichica influisce sul nostro corpo.

La sofferenza è sempre una realtà dai mille volti. É una esperienza che non possiamo comprendere finché non la facciamo, Si possono scrivere dei libri sulla sofferenza e sul dolore... ma se non è passato tutto ciò anche un po’ sulla nostra pelle, sono solo teorie.

Il dolore può essere la conseguenza della perdita della salute, di infermità, malattie, soprattutto quando sono clinicamente inguaribili. Il dolore può essere l'esperienza emotiva che segue la perdita di una persona cara, il fallimento di un rapporto interpersonale significativo.

Ci sono sofferenze umane conseguenti a certi fenomeni naturali che si sono abbattuti e continuano a pesare sull'uomo d'oggi, che e impotente a impedirli e perfino a prevederli, ma soprattutto si sente quasi schiacciato e solo, in questa immane sofferenza.

Le miserie morali, dalle ingiustizie sociali alle violenze di vario genere, fino alle continue stragi di guerra, sono alcuni esempi di un altro volto, non trascurabile della sofferenza che si moltiplica tra gli uomini a causa di altri uomini.

La sofferenza è certamente oggettiva, ma essa è anche soggettiva, unica, nel senso che ogni persona afflitta o malata, reagisce in modo diverso. È il mistero della sensibilità di ognuno, che è imponderabile.

Non si possono fare confronti con le varie sofferenze, né tantomeno fra le persone che soffrono.

C'è poi la sofferenza profonda, esistenziale, di chi non sa che senso ha la sua vita. Questo porta spesso la persona a sentirsi incapace di affrontare una realtà divenuta insopportabile, a fuggire quasi da se stessa per cercare di sollevare in qualche modo il peso schiacciante di questa sofferenza, ricorrendo magari all'uso della droga o dell'alcool...

C'è la sofferenza soprattutto di chi vive nelle grandi città in condomini anonimi, della solitudine. Solitudine che è più una condizione psicologica che fisica dell'uomo d'oggi.

C'è la sofferenza di chi condivide il dolore degli altri - da qualunque parte della terra si trovino - perché sente l'altro parte della propria carne.

"Qualunque sia la tua situazione di vita... non lasciarti imprigionare dall'angusta cerchia della tua piccola famiglia. Una volta per tutte adotta la famiglia umana. Bada a non sentirti estraneo in nessuna parte del mondo. Sii un uomo in mezzo agli altri.

Nessun problema, di qualsiasi popolo, ti sia indifferente. Vibra con le gioie e le speranze di ogni gruppo umano.

Fa tue le sofferenze e le umiliazioni dei tuoi fratelli nell'umanità".

(Helder Camara)

Il progresso non elimina il problema del dolore, anzi spesso lo accresce e lo rende più acuto e porta l'uomo a misurare i propri limiti esistenziali alla luce, spesso tenebrosa e catastrofica, della morte, personale e collettiva.

Spesso oggi il problema dell'uomo è ridotto solo alla conquista del benessere (che però è bene-avere !), a costo di annullare il valore dell'essere.

Partendo da simili constatazioni Ignazio Silone (1965) sembra indicare una possibile via d'uscita:

"...Nessun ordinamento pubblico eliminerà mai il dolore dalla vita personale e, in mancanza d'altro, basterebbe questo per mantenere viva l'inquietudine nel cuore dell'uomo. In mancanza d'altro basterebbe la certezza della morte. Nessun benessere potrà mai distrarre la totalità degli uomini dal confronto tra le proprie aspirazioni e la fragilità dell'esistenza. Sarebbe contrario a tutto ciò che sappiamo della psicologia dell'uomo supporre che l'euforia del benessere duri a lungo.

Che cosa altro desiderare quando i bisogni materiali sono soddisfatti? É probabile che il problema religioso si presenti allora agli uomini con più forza che nelle epoche precedenti."

Forse solo un credente può intuire che anche la sofferenza ha un senso.

"È una donna domandò: - Parlaci del dolore. - Ed egli disse: Il dolore è il rompersi del guscio che racchiude la vostra intelligenza. Come il nocciolo del frutto deve rompersi per esporsi al sole, cosi dovrete conoscere il dolore. E se sapeste voi meravigliarvi in cuore dei prodigi quotidiani della vita, il dolore vi stupirebbe meno della gioia. Accogliereste le stagioni che ripassano sui campi e vegliereste sereni anche nei duri inverni.

Una parte del vostro dolore è scelta da voi stessi. È la pozione amara con la quale il medico, che è chiuso in voi, guarisce il vostro male.

Confidate in lui e bevete il suo rimedio, in pace e silenziosi.

Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta da una mano tenera e invisibile. E la coppa che vi porge, sebbene bruci il vostro labbro, è stata fatta con la creta che il vasaio ha inumidito con le sue lagrime sante."

(Gilbran Kahlil, da "Il PROFETA", ed. Guanda)

 

La volpe indiana (Una favola del mistico arabo Sa'di)

Un uomo, attraversando la foresta,
vide una volpe che aveva perso le zampe
e si chiese come potesse sopravvivere.
Poi vide arrivare una tigre con la preda in bocca.
La tigre mangiò la sua parte e lasciò il resto della carne alla volpe.
Il giorno dopo Dio nutrì la volpe per mezzo della stessa tigre.
L'uomo si stupì della grande bontà di Dio e pensò:
"Anch'io rimarrò in un angolo
pieno di fiducia in Dio ed egli mi fornirà tutto ciò che mi serve".
E così fece per molti giorni,
ma non accadde nulla.
Il poveretto era ormai vicino alla morte
quando udì una Voce che diceva:
"Oh tu che sei sulla via dell'errore,
apri gli occhi alla verità!
Segui l'esempio della tigre e smetti
di imitare la volpe invalida.

Per la strada vidi una ragazzina che tremava di freddo.
Aveva un vestitino leggero e ben poca speranza in un pasto decente.
Mi arrabbiai o dissi a Dio: "Perché permetti questo? Perché non fai qualcosa?"
Per un po’ Dio non disse niente.
Poi improvvisamente, quella notte mi rispose:
"Certo che ho fatto qualcosa. Ho fatto te".

La sofferenza può stimolare la solidarietà fra le persone, se non siamo indifferenti e sappiamo capire, intuire, i bisogni degli altri, ascoltare chi ci e vicino, E ciò non è poco!

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Decimo Incontro

LA MORTE E L'ALDILÀ

 

* La morte e l'aldilà

"La morte e l'aldilà costituiscono un problema. Migliaia di persone ogni giorno piombano in un abisso di disperazione, da cui molti non usciranno, per la perdita di un congiunto adorato, perdita che appare loro irreparabile e per sempre. Altre migliaia ogni giorno entrano irreversibilmente in un mondo di smarrimento e di terrore per l'imminente minaccia di una morte che, ai loro occhi, rappresenta l'annientamento del loro stesso io.

Il nostro secolo ha visto grandi invenzioni che hanno mutato profondamente la vita umana; l'auto, l'aereo, l'elettronica, la televisione, l'energia nucleare, i lanci spaziali, la scoperta della struttura dell'atomo e quella del subconscio umano. Ma una realtà è rimasta intatta nel potere quella tecnologia e della scienza: la morte.

Anzi i suoi effetti, psicologicamente si sono aggravati....."

(G,Martinetti, da "LA VITA FUORI DEL TEMPO", ed. LDC)

Certamente non si hanno prove assolute della vita oltre la morte..... non le avremo mai (cesserebbe il valore della fede).

Tuttavia proprio negli ultimi vent'anni si sono moltiplicati gli indizi, i riscontri, le testimonianze di persone ritornate in vita dal coma profondo; si sono concentrati cosi importanti fenomeni osservati che convergono tutti sulla possibilità di sopravvivenza (dopo la morte fisica). Anche l'aldilà diventa oggetto di studi a livello scientifico, di raccolta e verifica dei dati, di accumulazione e confronto di indizi.

Dice Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose

"Nella nostra esistenza la morte resta l'evento ineluttabile per eccellenza, anche se oggi si vive come se si fosse immortali.

Da alcuni decenni noi cristiani assistiamo passivamente, sino ad essere complici di questa nuova forma di mondanità dominante, a un occultamento della morte e ad una rimozione di questa realtà dal nostro vivere quotidiano....

La morte viene così rubata all'uomo, come se fosse qualcosa di osceno, e la nostra vita rischia di non avere più un confronto con il momento della propria finitudine, perdendo ogni capacità di autentico rapporto con gli uomini, le creature, il mondo in cui siamo posti.

Il significato della vita subisce una deformazione disumana e il significato della morte sfugge sempre di più all'uomo costretto a morire in modo incosciente, nello spazio degli emarginati, secondo modelli forniti dalle ideologie dei consumi e dell'edonismo...

È necessario per il cristiano vivere la morte e imparare a morire fino a fare della morte l'atto volontario, l'atto supremo della vita, l'atto di fede, di amore, di abbandono nel Dio dei viventi e dei morti".

(E.Bianchi, da "VIVERE LA MORTE", ed.Gribaudi)

C'è chi pensa che la vita è assurda, che la morte è assurda, che con la morte finisce tutto.

C'è chi dice: "A me interessa vivere adesso... Che dopo la morte ci sia qualcosa non mi interessa... Si vedrà..."

C'è chi crede che anche la morte ha un senso, anche se del tutto non si capisce... che dopo la morte la vita continua... che c'è un oltre... che in questo oltre verranno vissute con pienezza tutte le aspirazioni positive più profonde dell'uomo; ci sarà la giustizia, la felicità per tutti, si vivrà la vera comunione.

L'angoscia della morte è il segno tragico della grandezza e della miseria dell'uomo; è la gravosa nobiltà dell'unico essere vivente che sappia di dover morire.

Ci dice Baden Powell, fondatore dello scoutismo:

«Se riflettiamo che noi uomini siamo qui sulla terra solo per i brevi anni della nostra vita, ci accorgiamo che le dispute meschine e le lotte per piccoli obiettivi egoisti sono fuori posto nell'ordine voluto dal Creatore. Dovremmo fare ogni sforzo per elevarci al di sopra di tutto ciò, per guardare più lontano, cosi che l'amore e il sentimento di appartenere ad un'unica famiglia guidino i nostri passo sulla via della pace».

 

La morte

Allora Almitra parlò, dicendo: "Vorremo ora chiederti della Morte". Ed egli disse: "Voi vorreste conoscere il segreto della morte.

Ma come potreste mai scoprirlo, se non cercandolo nel cuore della vita?

Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce. Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.

Perché la vita e la morte sono una cosa sola, cosi come una cosa sola sono il fiume e il mare.

Al fondo delle vostre speranze e dei vostri desideri vive la muta conoscenza di ciò che sta oltre la vita; e, come i semi che sognano sepolti dalla neve, il vostro cuore sogna la primavera.

Fidatevi dei sogni, perché in loro sta nascosta la porta dell'eternità. La vostra paura di morire non è che il tremito del pastore quando è di fronte al re che gli posa la mano sulla fronte in segno d'onore.

Nel suo tremare, non è forse il pastore felice perché su di sé avrà l'impronta del suo re?

E tuttavia non gli è forse più presente il suo tremore?

Che cos'è morire, se non restare nudi nel vento e disciogliersi al sole?

E che cos'è esalare l'ultimo respiro se non renderlo libero dal suo incessante fluire, così che possa sorgere e spaziare svincolato alla ricerca di Dio?

Solo se berrete al fiume del silenzio, voi dovrete cantare per davvero.

E solo quando avrete conquistato la cima del monte, allora solo avrete cominciato a salire.

E quando la terra esigerà le vostre spoglie, allora comincerà per voi davvero il ballo".

(Kahlil Gibran)

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Marzo 1997